I Medicanes, piccoli cicloni nel cuore del Mediterraneo

I Medicanes, piccoli cicloni nel cuore del Mediterraneo

Scopriamo cosa sono e dove si formano i Medicanes, piccoli cicloni nel cuore del Mediterraneo

di Dario Hourngir

Roma, 10 Dicembre 2018 – Analizzando quelli che sono i bacini più perturbati e “turbolenti” del mondo, il mar Mediterraneo ricopre sicuramente un ruolo di primo piano, classificandosi come uno dei più ciclogenici di tutto il globo. Questa caratteristica in qualche modo è legata a quelli che sono gli aspetti principali che lo contraddistinguono, ovvero è una zona di interazione tra masse d’aria dalle caratteristiche differenti, oltre al fatto che è un mare caldo, con temperature superficiali che a fine estate/inizio autunno spesso si approssimano a valori intorno ai 26-28 gradi centigradi (con picchi che negli ultimi anni, a causa della temperatura dell’aria più alta, tendono a raggiungere localmente i 30 gradi in alcune aree nel periodo tardo estivo). Proprio per questi motivi, tale bacino spesso partorisce numerose basse pressioni, alcune delle quali possono risultare particolarmente intense, sia in termini di precipitazioni che in termini di vento, portando talvolta numerosi danni sui tratti di costa esposti, alcuni dei quali sono densamente abitati. Alcune di queste depressioni, in particolare, possono assumere caratteristiche anomale in circostanze specifiche, divenendo simili a come generalmente sono gli uragani atlantici: tali perturbazioni prendono il nome di Medicanes (tradotto, uragani mediterranei), o TLCs, che sta per tropical-like-cyclones. Queste strutture sono decisamente non comuni e anomale nei nostri bacini, ma sono più frequenti di quanto si possa immaginare, con una media di circa 1,6 Medicanes all’anno; l’attenzione su di essi si è sviluppata a partire dagli anni ’80, ed è stata necessaria un’attenta analisi per andare ad individuare quali tra quelle prese in esame potesse essere considerata una struttura depressionaria simil-tropicale, e quali potessero essere, dunque, i parametri meteorologici per poter catalogare una depressione come TLC, distinguendola da quelle normali che comunemente investono le Nazioni che si affacciano sul Mediterraneo.

Immagine satellitare del Medicane Qendresa del Novembre 2014.
Immagine satellitare del Medicane Qendresa del Novembre 2014. Fonte eumetsat

Da un attento studio, basandosi sui lavori del passato, si possono elencare gli elementi cardine che contraddistinguono tali strutture. La presenza di un “occhio” in prossimità del minimo come gli uragani è sicuramente la prima cosa che si nota osservandolo da satellite, anche se spesso accade che tale area non sia ben visibile per via di nubi stratiformi che la coprono: in generale, esso è caratterizzato da una calma di vento e assenza di precipitazioni. Sempre in quest’area del minimo di pressione è presente un “cuore caldo” (warm core), dovuto ad un rilascio di calore latente del vapor d’acqua durante la convezione, che porta in qualche modo la struttura ad autosostenersi in termini energetici: questo se vogliamo è l’aspetto che più di ogni altro distingue il Medicane da ogni altra area depressionaria che presenta invece un “cuore freddo”. Il tutto con una struttura di tipo barotropico anziché baroclino, dove la seconda è tipica delle latitudini temperate come le nostre e con velocità del vento orizzontale che varia con la quota (wind shear non trascurabile), mentre la prima è tipica invece delle zone tropicali, con una struttura che si muove in sinergia alle varie quote, a causa del minor gradiente verticale del vento (wind shear basso) che quindi la rende più stabile e compatta alle varie quote. Queste caratteristiche definiscono a grandi linee un TLC mediterraneo, attorno al cui minimo ruotano nubi e precipitazioni intense, con la tipica struttura a spirale degli uragani, e con venti le cui raffiche rientrano generalmente nella categoria 1 della scala di Saffir-Simpson, la quale viene presa in esame per dare un’idea della potenza delle tempeste: si parla quindi di venti che possono raggiungere raffiche anche oltre i 120 km/h nelle zone più in prossimità del minimo di pressione (per via dell’enorme gradiente barico nel raggio di poche decine di km), il quale può arrivare anche a valori bassi dell’ordine di 990 o meno hPa. A titolo di esempio, si cita il Medicane Qendresa formatosi tra il 7 e l’8 novembre 2014 tra la Sicilia e la Tunisia, il quale ha poi investito le isole di Lampedusa, Pantelleria e Malta, qui con un valore di pressione minimo di 985 hPa e con raffiche di vento oltre i 130 km/h, piegando la traiettoria successivamente verso nord, prima di cambiarla improvvisamente in direzione della Sicilia orientale, investendo le zone meridionali di Catania e provincia, prima di placarsi e dissolversi definitivamente.Sembrerebbe che allora anche nelle nostre zone possano svilupparsi quelle tempeste che imperversano altrove e vengono mostrate ai telegiornali con tutta la loro violenza, eppure, nonostante le grandi similitudini tra Medicanes e uragani, ci sono delle sostanziali differenze legate a dove ci troviamo. In prima analisi, i primi si formano su acque più fredde dei secondi, anche fino a 15 gradi centigradi di temperatura superficiale del mare, in quanto nel nostro bacino sono possibili irruzioni di aria fresca o fredda che, interagendo con il mare caldo o tiepido, possono generare più facilmente depressioni profonde nel momento in cui la saccatura viene “strozzata”, mentre nelle acque tropicali, visto che queste irruzioni difficilmente avvengono, è necessaria una temperatura superficiale ben più alta, e non a caso convenzionalmente è il valore di 26 gradi centigradi quello scelto come critico per un uragano, al di sotto del quale non ha possibilità di formarsi. Questo aspetto si ricollega ad un’altra sostanziale differenza, ovvero la loro origine in fase embrionale; mentre i cicloni tropicali nascono già con una struttura barotropica, i Medicanes si sviluppano a partire da una struttura baroclina tipica delle nostre zone, che poi degenera, se le condizioni atmosferiche lo permettono, in una struttura barotropica. A ciò si aggiunge il fatto che un TLC è sempre meno intenso e molto meno esteso di un uragano per quelle che sono le dimensioni del Mediterraneo, mare chiuso con orografia delle coste complessa e decisamente più piccolo di un oceano, che permette alla bassa pressione di attingere una minor fonte di energia. Infatti, la disponibilità energetica sotto forma di vapor acqueo e di calore dal mare (chiamati flussi di calore latente e sensibile rispettivamente) gioca un ruolo chiave nel momento in cui il Medicane è in procinto di formarsi, determinando quanto sarà in grado di approfondirsi e perdurare nella sua fase tropicale: è dunque chiaro anche il motivo per cui queste perturbazioni, nel momento in cui entrano nella terraferma, perdano energia progressivamente, proprio per via del fatto che viene meno la fonte principale che le alimenta, ovvero il flusso di vapor d’acqua della superficie marina, oltre ad incontrare un maggiore stress superficiale per la maggior rugosità del terreno. Nonostante l’importanza di questi aspetti puramente energetici, è stato dimostrato come in realtà questi subentrano in un secondo momento, ovvero a seguito di una dinamica atmosferica favorevole: un Medicane NON potrà mai formarsi se in alta troposfera alcune condizioni dinamiche legate ai moti dell’aria non siano soddisfacenti, come può essere ad esempio la mancanza di un valore più alto del dovuto di vorticità potenziale, quindi quello che si può dire sulla loro formazione è che il primo step deve essere una dinamica atmosferica ottimale, che permetta alla struttura baroclina di partenza di poter mutare, e poi, come secondo step a supporto del precedente, elevati flussi di calore dal mare. Da qui possiamo capire anche come avere una temperatura superficiale del Mediterraneo superiore alla media climatica del periodo possa rendere più facile il potenziamento di queste strutture, che finiscono poi per scaricare ingenti quantità di precipitazioni laddove finiscono per impattare.

Il Lazio in genere risulta lontano dalle traiettorie tipiche e dalle aree di maggior formazione. Generalmente, infatti, essi si formano sulle zone del Mediterraneo occidentale, in particolare nella zona delle isole Baleari, finendo per avere una traiettoria limitata, generalmente nord-sud, e stazionaria attorno all’area di formazione, e nei mari che bagnano l’Italia meridionale, in particolare tra la Tunisia e la Sicilia, sullo Ionio e sul basso Adriatico, dove, invece, possono colpire le coste qui esposte, per poi evolvere verso est in direzione della Grecia (come avvenuto lo scorso fine Settembre, anche se in quel caso il ciclone non era al 100% un Medicane), o verso sud/sudest, in prossimità del nord Africa. In qualche episodio raro, è capitata una loro approssimazione sulle coste laziali, ma generalmente si è trattato di una “fase embrionale” di Medicane, senza potersi sviluppare a tutti gli effetti: di per sé il Tirreno dunque non è un mare prolifico alla loro formazione, per via di alcune dinamiche atmosferiche che avvengono meglio in altre locazioni.

Oltre ad avere zone preferenziali, i Medicanes tendono ad avere anche periodi di maggior proliferazione, con l’autunno che si posiziona come stagione più favorevole alla loro formazione. Questo è dettato da quanto si diceva prima, ovvero dalla presenza di un mare ancora caldo in mesi come settembre, ottobre o novembre, per via dell’inerzia termica maggiore che caratterizza tutti i bacini, che a seguito dell’interazione con i primi affondi freddi o freschi della stagione autunnale, creano i presupposti per un loro sviluppo. Anche l’inverno, numeri alla mano, è una stagione prolifica per alcuni mari come lo Ionio, mentre a partire dalla primavera cominciano a diminuire le probabilità di vedere un TLC, fino ad arrivare al periodo estivo, che risulta essere esente da episodi simili. Molti esempi del recente passato si possono fare, da quello citato sopra di 4 anni fa, a quello del novembre del 2017, Numa, che investì la Puglia stazionando più del previsto sulla regione, fino ad un altro fenomeno intenso del 26 settembre del 2006, che investì sempre la Puglia passando attraverso essa per traslare dallo Ionio all’Adriatico. Tutti eventi che crearono non pochi problemi ai modelli di simulazione per la loro traiettoria, sintomo di come tali strutture siano estremamente dinamiche e imprevedibili.