I Parametri che influenzano il limite della nevicata

 

Zero termico ed intensità della precipitazioni

Il limite della nevicata dipende da numerosi fattori: in primo luogo esso dipende dalla quota dello zero termico e dall’intensità e dalla durata della precipitazione. Il meccanismo di raffreddamento dell’atmosfera ad opera della fusione della neve è già stato analizzato in numerosi lavori (Findeisen, 1940; Wexler et al. 1954; al.); in particolare, in caso di debole avvezione orizzontale di temperatura, il calore latente necessario alla fusione della neve viene assorbito dal processo di fusione stesso, in maniera proporzionale all’intensità della precipitazione e quindi al volume della massa di ghiaccio in discesa al di sotto del limite dello zero termico; la quantità del calore latente assorbito dal processo di fusione è espresso dalla formula:

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dove Lƒ è il calore latente di fusione a 0°C (3.34 x 105 J Kg-1), ρl  la densità dell’acqua liquida, e Rm  l’altezza della precipitazione liquida-equivalente espressa in metri (Lackmann et al. 2001); dalla formula si deduce facilmente che la quantità di calore latente assorbita dal processo di fusione, e quindi il conseguente raffreddamento dell’atmosfera, sono direttamente proporzionali all’intensità della precipitazione, ovvero al termine Rm che rappresenta il contenuto di acqua precipitabile nell’atmosfera. La colonna d’aria che si trova al di sotto della quota dello zero termico tende quindi a raffreddarsi fino a raggiungere una situazione di isotermia prossima a 0°C (Kain et al., 2000). Raggiunta tale temperatura il processo di raffreddamento si arresta, poiché non viene più assorbito calore latente, in quanto non più necessario ad un ulteriore raffreddamento.La velocità con cui l’atmosfera si raffredda è quindi direttamente proporzionale all’intensità della precipitazione e, secondo studi recenti (Theriault e Stewart, 2008) anche all’entità del sollevamento verticale della massa d’aria, concorrendo in questo caso anche il raffreddamento adiabatico dovuto all’espansione della massa d’aria a causa della minore pressione. D’altra parte velocità verticali positive e intensità di precipitazione sono due parametri strettamente collegati tra loro in maniera il più delle volte direttamente proporzionale.

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In condizioni di gradiente verticale di temperatura standard, il limite della neve scende, secondo le osservazioni effettuate sulle Alpi italiane, solitamente 200/300 m sotto lo zero termico in caso di debole precipitazione, 400/500 m in caso di precipitazione moderata, 600/800 m in caso di precipitazione intensa, anche di più in caso di fenomeni accompagnati da instabilità, durante i quali, specie nella stagione primaverile, al fenomeno del raffreddamento da fusione si aggiunge il rovesciamento di aria fredda tipico delle precipitazioni di natura convettiva (Kappenberger/Kerkmann, 1997).(Fig. 1).

E’ evidente che per poter correttamente pronosticare il limite della nevicata, il previsore necessita di attendibili indicazioni modellistiche riguardanti la quota dello zero termico e l’intensità della precipitazione, o per lo meno dei parametri che consentono di stimarla, quali ad esempio i campi di umidità integrata, i sollevamenti verticali (che concorrerebbero anche in funzione del raffreddamento adiabatico), i gradienti di temperature pseudopotenziali, la posizione dei minimi di vorticità potenziale ed i suoi gradienti (Fig. 2).

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Tuttavia numerose altre variabili possono influenzare il limite della nevicata: in primo luogo è necessario verificare la presenza di eventuali strati di inversione termica o isotermia nelle fasi immediatamente antecedenti la precipitazione; allo stesso modo l’umidità dell’aria, e quindi la temperatura di rugiada (o dew point) influenzano il limite della nevicata, per lo meno fino al raggiungimento della saturazione della massa d’aria; è poi necessario considerare se la precipitazione sia accompagnata da turbolenza nei bassi strati, che possano indurre una marcata rimescolanza nello strato limite; altri parametri da considerare sono la posizione geografica rispetto al flusso di correnti e la morfologia del territorio.

Inversione termica o isotermia

Nel caso in cui antecedentemente alla precipitazione si osservino condizioni di inversione termica o isotermia prossima o inferiore a 0°C nello strato limite, è necessario verificare alcune condizioni: in primo luogo si deve considerare lo spessore dello strato di inversione, rapportato alla quota dello zero termico nella libera atmosfera; bisogna considerare se lo spessore dello strato di inversione sia tale da garantire temperature negative o comunque prossime a 0°C in tutta la colonna d’aria, in modo da consentire alla neve di raggiungere il suolo senza incorrere nel processo di fusione; qualora tra il limite superiore dello strato isotermico o di inversione e la quota dello zero termico si trovino invece strati “caldi” con temperature positive, si deve valutare la consistenza di detti strati e la possibilità che la precipitazione nevosa li possa attraversare senza subire un completo processo di fusione; lo spessore che può essere attraversato dipende dall’intensità della precipitazione nella stessa misura in cui si può prevedere la discesa del limite della neve in rapporto allo zero termico, cioè 200/300 m in caso di debole precipitazione, 400/500 m in caso di precipitazione moderata e così via come sopra; nello strato sovrastante il limite dell’inversione può in questo caso formarsi la colonna d’aria isotermica che si genera per il processo di raffreddamento da fusione sopra spiegato. Qualora lo strato “caldo” sia di spessore maggiore, soprattutto se lo strato di inversione o isotermia al suolo presenta spessore ridotto, nell’attraversamento di detto strato la neve subisce un completo ed irreversibile processo di fusione ed è possibile ipotizzare la presenza del fenomeno del cosiddetto gelicidio o pioggia congelatesi, ovvero precipitazione liquida con temperatura negativa al suolo, che provoca pericolose formazioni di ghiaccio sul terreno gelato.

Ai fini di una corretta previsione è necessario poter disporre di precise informazioni riguardanti la condizione termica dello strato limite; tali informazioni necessitano di una buona rete di stazioni a terra e di osservazioni del profilo termico verticale (radiosondaggi, profilatori verticali) in prossimità della zona di interesse (Fig. 3).

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Al fine di poter correttamente determinare il limite iniziale della nevicata è necessario comparare i dati reali misurati con i dati previsionali forniti dai modelli per lo stesso momento. Per poter poi determinare quanto a lungo potrà conservarsi la condizione termica dello strato limite sono necessari corretti parametri previsionali riguardanti lo strato limite (radiosondaggi di previsione) e soprattutto riguardanti le avvezioni orizzontali di temperatura; sezioni verticali estrapolate da modelli a scala locale possono fornire preziose indicazioni riguardo ai moti orizzontali nello strato limite, che possono indurre la rimozione dello strato isotermico o di inversione per l’ingresso di correnti d’aria più mite nei bassi strati.

Umidità dell’aria

Qualora all’inizio della precipitazione la colonna d’aria non presenti completa saturazione, particolare rilevanza assume il grado di umidità relativa dell’aria, ovvero la temperatura di rugiada (o dew point) che ne è direttamente dipendente. A parità di temperatura dell’aria infatti il limite della neve tende a risultare più basso tanto minore è l’umidità relativa della colonna d’aria nello strato limite: la sublimazione dei cristalli di neve in aria non satura assorbe calore latente dall’atmosfera, raffreddandola e consentendo alla neve di scendere significativamente in rapporto alla temperatura dell’aria iniziale. In caso di precipitazioni prolungate tutta la colonna d’aria tende generalmente ad umidificarsi fino a raggiungere condizioni di saturazione; in questo caso temperatura dell’aria e temperatura di rugiada tendono ad avvicinarsi fino a coincidere a completa saturazione. Le condizioni iniziali di umidità relativa influiscono quindi più che altro sul tempo di raffreddamento della colonna d’aria sottostante lo zero termico, risultando il raffreddamento più veloce in caso di massa d’aria inizialmente povera di umidità (Theriault and Stewart, 2008).

Ai fini della previsione, una corretta comparazione tra dati reali e dati previsionali relativi al rapporto tra temperatura reale dell’aria e temperatura di rugiada è importante per poter correttamente pronosticare il limite iniziale della nevicata e la velocità di abbassamento dello stesso in rapporto all’intensità.

Turbolenza nei bassi strati

Il processo di raffreddamento da fusione può verificarsi secondo la regola generale rapportata all’intensità della precipitazione solo nel caso in cui la precipitazione stessa non sia accompagnata da forte rimescolanza nei bassi strati; già altri autori (Lackmann et al. 2002; Kain et al. 2000) hanno dimostrato come condizione necessaria per avere un marcato raffreddamento da fusione sia la presenza di una debole avvezione orizzontale di temperatura. In pratica, in caso di intenso flusso nei bassi strati, la formazione dello strato di isotermia al di sotto dello zero termico risulta inibita a causa del forte rimescolamento, che continua ad apportare masse d’aria più calda, non permettendo un consistente raffreddamento per sottrazione del calore latente; tale fenomenologia è evidente sui primi contrafforti di una catena montuosa direttamente interessata da correnti d’aria umida in grado di produrre precipitazioni da Stau (es. le Prealpi venete) in caso di intenso flusso: in questo caso il raffreddamento da fusione si manifesta in maniera poco significativa, poiché le masse che subiscono il processo di raffreddamento sono continuamente sostituite da masse d’aria costantemente più mite.
Solitamente il valore massimo di velocità del vento nei bassi strati che consente la formazione di importanti strati di isotermia da fusione si aggira attorno a 0,2/0,4 m/s; oltre tali valori il rimescolamento è tale da inibire in buona parte il raffreddamento da fusione. Nelle valli più interne e protette rispetto ai flussi nei bassi strati, eventuali cuscinetti di aria fredda possono mantenersi a lungo anche in presenza di significative correnti di aria più mite in quota, e la mancata rimescolanza favorisce il rapido progredire dall’alto verso il basso delle condizioni di isotermia da fusione

Al fine di determinare la presenza di turbolenze nei bassi strati, è importante valutare, in caso di precipitazione di tipo frontale, se si tratti di fronti di tipo ANA-Front, nel quale il profilo del fronte consente ai fenomeni di precedere il fronte stesso, senza gli effetti di turbolenza legati al transito di esso, quindi senza rimescolamento. Le precipitazioni nevose in fase di fusione che si verificano in una colonna d’aria con forte ristagno aerologico tendono a raffreddare lo strato dove il processo di raffreddamento da fusione avviene. Il perdurare del processo consente di raffreddare spessori a volte considerevoli. Il non rimescolamento e la quasi assenza di vento favoriscono la costituzione di strati isotermici (temperatura prossima allo zero), e in relazione al perdurare della situazione favorevole, il raffreddamento da fusione può propagarsi per parecchie centinaia di metri al di sotto della quota dello zero termico. In certi casi, infatti, lo strato isotermico della colonna d’aria creatasi da questo processo può raggiungere fino a 800/1000 m di spessore, specie in caso di prolungata moderata o forte intensità delle precipitazioni e nei settori meno arieggiati. Al passaggio del fronte stesso, l’effetto camino della discontinuità provoca generalmente molta turbolenza, contrastando gli effetti del raffreddamento da fusione.
Una così forte discesa del limite della nevicata per raffreddamento da fusione in caso di mancata turbolenza può essere osservato anche in assenza di precedente isotermia o inversione termica, a condizione che le precipitazioni siano sufficientemente intense e prolungate.
La notevole differenza tra quota dello zero termico nella libera atmosfera e limite della nevicata è un fenomeno tipico delle valli interne (es. valli dolomitiche), mentre non si osserva praticamente mai sui settori aperti, specie quelli esposti alle correnti miti (settori prealpini); così, spesso, la differenza del limite della nevicata, a parità di zero termico, può risultare molto marcata tra settori geografici diversi anche all’interno della stessa regione (Fig. 4 e 5 ).

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Come sopra accennato, la presenza o meno di forte rimescolamento nello strato limite influisce anche in maniera determinante sulla resistenza di strati di isotermia o d’inversione termica. Non è raro, di fatto, osservare un netto rialzo del limite della neve in concomitanza al passaggio del fronte (caldo o freddo) per forte rimescolamento nei bassi strati e scomparsa dello strato raffreddato dalla fusione.
Infatti, spesso, durante un episodio perturbato preceduto da condizioni di inversione termica, con basse temperature nei fondovalle, accade che il limite della nevicata si mantenga costantemente basso per la non erosione dello strato freddo preesistente, per lo più favorita dal non rimescolamento per venti deboli e di conseguenza per conseguente raffreddamento tipico di tali situazioni. La non erosione del cuscinetto di aria fredda è specifica del settore caldo di una perturbazione, nonostante un aumento delle temperature in quota e quindi un rialzo della quota dello zero termico, a causa della mancata rimescolanza dello strato limite e dell’instaurarsi dello strato isotermico per il processo del raffreddamento da fusione; al transito del settore freddo, quando teoricamente ci si potrebbe aspettare un calo della quota neve per l’ingresso di aria più fredda e conseguente abbassamento dello zero termico, si può spesso osservare un rialzo del limite delle nevicata; tale comportamento, in apparenza anomalo, è dovuto al fatto che durante il passaggio del settore caldo non si verifica rimescolanza dello strato limite, il che consente, anche per l’instaurarsi di isotermia da fusione, il mantenimento di temperature sufficientemente basse nello strato limite stesso; al contrario al passaggio del fronte freddo la turbolenza che lo accompagna determina forte rimescolanza nello strato limite, con conseguente rimozione e erosione degli strati di inversione termica o di isotermia che hanno consentito il mantenimento dell’iniziale limite della nevicata. Solo in caso di forte abbassamento della temperatura, di sufficiente umidità relativa e a patto che la dinamica atmosferica lo consenta, il limite della neve può successivamente tornare ad abbassarsi in funzione della quota dello zero termico. Spesso in realtà accade che all’ingresso dell’aria fredda, generalmente meno carica di umidità, e, in particolare sulle Alpi italiane, in caso (frequente) di disposizione delle correnti dai quadranti settentrionali, la dinamica atmosferica risulti non favorevole ad ulteriori precipitazioni, registrandosi infatti molte volte forte subsidenza, spesso anche accompagnata da condizioni di Föhn (Fig. 6).

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Per poter valutare correttamente le condizioni di rimescolanza nello strato limite ai fini della previsione, è necessario disporre di precise informazioni previsionali riguardanti lo strato limite stesso; possono essere fornite da radiosondaggi di previsione estrapolati su coordinate di interesse, o da sezioni verticali di aree limitate, che consentano un’approfondita valutazione delle correnti nei bassi strati. Altri strumenti di nowcasting, quali ad esempio le immagini SATREP (www.knmi.nl/satrep/), possono fornire importanti indicazioni al previsore circa la tipologia di fronte in arrivo sulla propria area di interesse. Le cross-sections della modellistica numerica possono, tramite alcuni parametri, dare informazioni preziose sulla tipologia del fronte e sull’associato tempo sensibile.

Orografia: posizione geografica e forma delle valli

Come già evidenziato affrontando il problema della turbolenza, è importante valutare la posizione geografica dell’area oggetto della previsione in rapporto alla provenienza delle masse d’aria umida responsabili delle precipitazioni. In particolare sull’arco alpino italiano le aree prealpine direttamente affacciate alla pianura padana, specie sui settori orientali, molto vicini al Mare Adriatico, sono maggiormente interessate, in condizioni di Stau favorevoli al verificarsi di estese precipitazioni, da masse d’aria mite ed umida, che tendono a mantenere la quota dello zero termico più elevata rispetto ai settori più interni e quindi anche più lontani dalle riserve di calore fornite in particolare dal Mar Mediterraneo. Tale considerazione vale più in generale per quanto riguarda tutti i settori montani direttamente affacciati su grandi estensioni marittime.
Anche la morfologia del territorio, ed in particolare la forma delle valli, specie quelle interne, può significativamente influenzare il limite della nevicata. In particolare, in assenza di forte rimescolanza nei bassi strati, nelle valli più strette e chiuse il limite della neve tende a scendere di più che non nelle valli larghe o nelle aree aperte, a parità di intensità della precipitazione. Nelle valli strette infatti la riduzione del volume d’aria rispetto ad una zona aperta riduce l’ammontare della precipitazione necessaria al raffreddamento per effetto della fusione (Unterstrasser S., Zangl. G; 2006). Come già sopra esposto, in caso di forti e prolungate precipitazioni il limite della nevicata può scendere nelle valli interne anche 800/1000 m sotto la quota dello zero termico, anche in assenza di precedenti strati di inversione, per il solo effetto dell’isotermia da fusione (Fig. 7 e 8).

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Allo stato attuale non si dispone sulle Alpi italiane di modelli a scala locale sufficientemente sviluppati, dettagliati e testati da poter prevedere con precisione un differente limite della nevicata in funzione della morfologia locale dell’area di interesse. Le indicazioni previsionali necessitano quindi di un’approfondita conoscenza dell’orografia locale da parte del previsore, e soprattutto di una grande esperienza necessaria a calare sul proprio territorio le indicazioni, più o meno generiche, provenienti dai modelli matematici di previsione, in particolare se trattasi di modelli globali.

Fonte articolo: aineva.it