19) Meteorologia dinamica: le onde convettive tropicali e la Madden-Julian Oscillation (MJO)

Meteorologia dinamica: le onde convettive tropicali e la Madden-Julian Oscillation (MJO)

di Claudio Giulianelli
Villa San Giovanni in Tuscia (VT), 3 Agosto 2021 – Avendo già parlato nei due precedenti appuntamenti di onde, risulterà semplice estendere l’argomento ad una dinamica tropicale molto famosa e molto importante per le tendenze meteo nel medio e lungo termine: la Madden-Julian oscillation, nota con la sigla MJO.

Prima di dire di cosa stiamo parlando, vediamo quali sono le caratteristiche fondamentali della circolazione larga scala della zona tropicale, che ci permetteranno di definire il contesto che permette lo sviluppo di tale fenomeno.

Sono due le caratterizzazioni fondamentali della circolazione atmosferica tropicale:

1) All’Equatore la convezione profonda ha un ruolo sulla circolazione atmosferica a larga scala. Per lo studio della dinamica alle medie latitudini abbiamo sempre ignorato la convezione perchè trattasi di un fenomeno locale che non guida le masse d’aria.
All’Equatore invece si. Ed in particolare i moti convettivi hanno il ruolo fondamentale di eliminare l’instabilità della colonna d’aria. Come sappiamo infatti la convezione in genere, come il nostro classico temporale di calore pomeridiano estivo, si sviluppa quando la colonna d’aria è instabile, ossia il suo profilo verticale di temperatura vede una forte diminuzione di questa con la quota. La convezione ha il ruolo di eliminare questa instabilità, portando il profilo da super adiabatico a neutro, dove il profilo neutro è quello di aria umida (il cumulonembo che si espande in verticale, umidifica l’aria portandola alla saturazione). Il risultato è che alla fine del processo convettivo i moti verticali sono stati eliminati.

Ma se nella circolazione extratropicale si tratta di un fenomeno troppo locale e poco rilevante rispetto ad altri elementi che caratterizzano la variabilità meteorologica delle medie latitudini, alle latitudini tropicali la convezione è in grado di creare questo profilo neutro stabile su vasta scala. Avevamo anche visto che nelle medie latitudini le velocità verticali, seppur lente, erano presenti all’interno di un’onda baroclina del flusso medio zonale, con velocità verticali positive (ascendenti) sotto una bassa pressione, e negative (discendenti) sotto un anticiclone. Ma se la convezione all’Equatore è un processo che ripristina continuamente un profilo neutro di temperatura eliminando le velocità verticali, questo vuol dire che non può esservi instabilità baroclina come alle medie latitudini, in quanto le velocità verticali su larga scala e l’instabilità baroclina avevamo visto essere due cose strettamente collegate. La convezione di conseguenza non solo elimina l’instabilità della colonna d’aria, ma rende l’atmosfera anche barotropica, ossia elimina la variazione del vento con la quota, e la dinamica ad ogni quota è perfettamente sovrapposta. La dinamica ad una data quota viene propagata/trasportata su tutta la verticale dalla convezione.

In tal contesto, i moti atmosferici vivono in due dimensioni, sul piano x-y. E dunque l’atmosfera tropicale si comporta come l’oceano, analogamente a quanto abbiamo visto nel precedente articolo sulle onde oceaniche ed ENSO. Le equazioni di Navier-Stokes per l’atmosfera all’Equatore diventano dunque le equazioni shallow-water che abbiamo usato nel precedente articolo per ricavare le onde oceaniche. Fra poco vedremo con quali conseguenze.

2) Da un’analisi di scala delle equazioni, che riporteremo qui di seguito, risulta che all’Equatore la dinamica bidimensionale citata al punto 1 è debolmente variabile. Ossia anche ad una data quota l’atmosfera è piuttosto omogenea, consentendoci di lavorare nell’ipotesi che i gradienti orizzontali di pressione e temperatura ad una data quota siano davvero piccoli. Che i gradienti di pressione all’Equatore fossero piccoli lo avevamo già dedotto dall’equilibrio geostrofico, avevamo infatti visto che scendendo di latitudine la forza di Coriolis andava a zero perchè il parametro di Coriolis andava a zero, e dunque anche i gradienti di pressione. Si vede però che anche i gradienti di temperatura vanno a zero.
Per vederlo facciamo un’analisi di scala delle equazioni del moto:
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Abbiamo sin da subito trascurato, come sempre in questa serie di articoli, il termine di attrito del laplaciano di u, l’ultimo dell’equazione.
Successivamente abbiamo definito un numero adimensionale che è il numero di Rossby, definito come il rapporto tra il termine non lineare e il termine di Coriolis. Mettendo dei numero tipici per l’equatore dentro tale relazione, essendo il parametro di coriolis o persino nullo sulla linea equatoriale, questo numero diventa molto grande, ossia il numeratore è molto maggiore del denominatore. Questo vuol dire che all’equatore il termine di Coriolis è trascurabile rispetto a quello non lineare. Se ricordate la prima analisi di scala fatta nell’articolo 3 per l’equilibrio geostrofico, qua abbiamo proprio la situazione opposta. Nella dinamica extratropicale il numero di Rossby era minore di 1 e trascuravamo il termine non lineare.
Successivamente abbiamo assunto trascurabili anche le variazioni temporali (analogamente a quanto fatto invece per la dinamica extratropicale, la variabilità atmosferica è in prima approssimazione lenta).
Quello che rimane è che il geopotenziale va come il quadrato delle velocità tipiche dei moti atmosferici. Considerando una U tipica di 10 m/s, le variazioni tipiche di geopotenziale all’equatore sono dell’ordine di 100 m^2/s^2. Nelle latitudini extratropicali dall’analisi di scala risulta che le variazioni di geopotenziale sono dell’ordine di 1000 m^2/s^2, dunque all’equatore sono molto minori!
Per quanto riguarda la temperatura, una stima delle sue variazioni tipiche la si può ottenere dall’equazione idrostatica secondo i seguenti passaggi:
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Mettendo dentro per U 10 m/s e R costante ideale dei gas, si ottiene una variazione tipica di 0.3 Kelvin. Tale valore per le zone extratropicali è circa 3 Kelvin. All’equatore possiamo dunque assumere l’ipotesi di gradiente di temperatura debole.

Abbiamo un atmosfera in cui tutta la colonna d’aria si muove con la stessa velocità (non c’è instabilità baroclina) e non c’è variabilità meteorologica, dato che sia pressione che temperatura non hanno variazioni significative. Vuol dire che l’atmosfera tropicale è tutta omogenea, come l’oceano.

Abbiamo già anticipato al punto 1 che le equazioni che governano la dinamica tropicale, con questo contesto, sono esattamente le stesse espresse nell’articolo precedente. Di conseguenza anche la fenomenologia è la stessa! L’unico elemento saliente della dinamica atmosferica equatoriale sono infatti le onde di gravità.

Se andiamo a guardare le onde atmosferiche presenti all’Equatore e il loro periodo di vita (tramite osservazioni satellitari), troviamo 3 principali tipi di onde di gravità: le Rossby-gravity, le Kelvin, e quello che viene chiamato Matsuno-Gill pattern. Cos’è il Matsuno-Gill pattern? è un pattern formato da una Kelvin e una Rossby-gravity di modo 1, lo stesso che avevamo descritto nel precedente articolo sull’ENSO. Nel precedente articolo avevamo infatti visto che quando si forma El nino, si viene a creare un accumulo di acqua calda sul Pacifico centrale. L’innalzamento del livello del mare genera un’onda di gravità da cui si dipartono una Kelvin che si propaga poi verso est, e una Rossby-gravity modo 1 che si propaga verso ovest.

Anche nella sovrastante atmosfera equatoriale si può sviluppare questo pattern. Può succedere infatti che quando parte la convezione profonda in un punto sull’Indiano o sul Pacifico, tale moto verticale vada a sollevare gli strati di atmosfera sovrastanti generando un’onda di gravità del tutto analoga a quella dell’El nino da cui si dipartono poi una Kelvin e una Rossby-gravity di modo 1. C’è però una differenza tra il caso oceanico e quello atmosferico: l’accumulo di acqua sul Pacifico centrale nel caso dell’El nino produce una Kelvin e una Rossby che poi prendono a viaggiare per conto loro dato che hanno velocità di fase opposte, con la Kelvin che va verso il Perù e la Rossby che va verso l’Indonesia. In atmosfera invece la Kelvin e la Rossby non prendono a viaggiare ognuna nella propria direzione, ma rimangono “attaccate” alla sorgente convettiva che le tiene in vita. Si crea infatti un meccanismo per cui la convezione da vita a queste onde che poi regolano i movimenti della zona convettiva stessa che a sua volta le tiene in vita.

Stiamo parlando della MJO. A questo punto potrebbe essere difficile dire come possa muoversi un ammasso di celle temporalesche sull’oceano Indiano o Pacifico, se questo da vita ad una Kelvin ed una Rossby che vogliono andare in direzioni opposte. Quello che si vede dalle misurazioni satellitari è la seguente cosa:
l’ammasso di celle temporalesche si muove verso est, come vorrebbe l’onda di Kelvin, ma con una velocità molto minore.
Il seguente schema ci fa capire perchè
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Come si diceva prima, la zona convettiva produce la circolazione atmosferica tropicale esemplificata in figura. Da notare che la Rossby produce un vento occidentale all’Equatore a sinistra della zona convettiva, e la kelvin un vento orientale a destra della zona convettiva. I due venti convergono sotto l’ammasso temporalesco e tale convergenza alimenta la convezione stessa. L’aria umida però viene portata dal vento orientale a destra dell’ammasso temporalesco, quindi dalla Kelvin. La conseguenza è la continua nascita di nuove celle temporalesche sul bordo destro dell’ammasso temporalesco iniziale. La zona convettiva si rigenera verso est, mentre le celle precedenti vanno dissipandosi. Le nuove celle temporalesche ora sono sorte più ad est delle precedenti, e l’effetto della convezione è di rigenerare il pattern di Matsuno-Gill più ad est che dunque è traslato più ad est.

L’effetto di traslazione di tale pattern di circolazione tropicale è dato dunque non dalla velocità di fase della Rossby o della Kelvin che invece sono sempre legate alla sorgente convettiva, quanto piuttosto dalla traslazione della sorgente convettiva stessa.

Quello che accade solitamente è che vi possa esserci una zona con aria molto umida o acque particolarmente calde sull’oceano Indiano che fa esplodere le prime celle convettive. Questo ammasso temporalesco genera una Rossby (sempre sottintendendo che si tratti di una Rossby-gravity di modo 1) e una Kelvin che vanno a rinforzarlo producendo una convergenza di venti sotto di esso e a farlo rigenerare sul suo bordo destro. Le nuove celle rigenereranno a loro volta anche l’onda di Rossby e di Kelvin più ad est e così questo meccanismo va avanti in genere fino a che la zona convettiva, nata sull’oceano Indiano, non incontra le acque più fredde del Pacifico peruviano dove dunque i venti orientali a destra dell’ammasso temporalesco non sono più in grado di apportare energia e la convezione si spegne.

Questo moto di traslazione della convezione dall’Indiano al Pacifico centrale dura solitamente tra i 30 e i 50 giorni (l’ammasso temporalesco si muove di pochi metri al secondo) ed è suddiviso convenzionalmente in 8 fasi, in cui ogni fase corrisponde ad una posizione dell’ammasso temporalesco, come mostrato in questa figura

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Quanto detto inizialmente può sembrare contraddittorio: abbiamo detto che la convezione profonda equatoriale esplode per eliminare l’instabilità stessa che l’ha generata, ma abbiamo anche assunto che questa condizione di stabilità a cui si porta la colonna d’aria equatoriale a seguito dell’evento convettivo sia una condizione tipica in cui si trova l’Equatore, sia nello spazio che nel tempo. Come fa la convezione a generarsi in un ambiente che abbiamo assunto essere mediamente stabile? La sottigliezza è la seguente: la condizione equatoriale di colonna stabile è tipica, ma non è una condizione duratura. La tendenza naturale della colonna d’aria è quella di tornare ad instabilizzarsi dopo che la convezione, dove inizialmente presente, si è esaurita. Ma la convezione tropicale è sempre pronta a ripresentarsi per rieliminare tale instabilità, dunque il profilo verticale neutro di aria umida viene in media mantenuto dalla convezione. Inoltre, quando in qualche zona dell’Equatore parte un ammasso di celle temporalesche, neanche vale più l’approssimazione di gradiente di temperatura e pressione debole, perchè le condizioni atmosferiche tra l’interno dei cumulonembi e le zone immediatamente periferiche si fanno decisamente diverse. Il ruolo delle onde di gravità generate da un ammasso di cumulonembi e della loro propagazione verso est o ovest è di ripristinare continuamente dunque anche l’equilibrio tra la zona convettiva e quelle circostanti. Il risultato è che in media uno osserva un’atmosfera piuttosto convettiva e generalmente omogenea e stabile e non potremmo assumere questa come ipotesi se non ci fosse la convezione a ripristinarla continuamente. Quindi le due cose sembrano non poter coesistere (convezione e atmosfera mediamente omogenea), ma in realtà sono strettamente correlate.

Anche nel caso della Madden avviene questo ripristino della condizione barotropica e neutra della colonna d’aria, colonna che però si presenta dunque diversamente durante la fase di vita di questo ammasso temporalesco. Infatti la convezione profonda attiva anche un’altra circolazione che abbiamo nominato sempre riguardo l’El-nino: la circolazione di Walker. In sostanza ai moti ascendenti dentro i cumulonembi si affiancano moti discendenti di subsidenza ai fianchi della zona convettiva. La circolazione viene chiusa al top della Troposfera quando il cumulonembo impatta contro la Stratosfera, strato stabile che fa si che il moto verticale ascendente vada a divergere alla quota di 200 hpa. Di contro, secondo lo schema visto precedentemente, nei bassi strati (in genere si guarda la 850 hpa) c’è una convergenza sotto la zona convettiva. Questo fa si che a destra dell’ammasso temporalesco, dove al suolo vi è un vento orientale, in quota vi sia un vento occidentale. A sinistra al suolo vi è un vento occidentale e in quota orientale, come esemplificato nello schema qui sotto:

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Sono dunque due i modi per individuare la fase in corso della Madden: o si guarda la radiazione ad onda lunga (OLR) dal satellite (chiaramente la convezione profonda emetterà radiazione ad una temperatura molto bassa, quella del top del cumulonembo, e sarà dunque resa visibile nell’infrarosso) per individuare la posizione delle celle temporalesche, oppure si può guardare il vento a 850 hpa per individuare la convergenza o a 200 hpa per individuare la divergenza in corrispondenza dell’ammasso temporalesco. Tutto ciò è visibile nelle immagini sottostanti:

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Didascalia: OLR. Ad inizio aprile 2021 l’area blu stazionava sul continente marittimo (arcipelago indonesiano) dove dunque si concentrava il maltempo. Nel secondo scatto la OLR torna ad aumentare sull’Indonesia e la convezione si porta più a nordest. Nel terzo scatto il blu, e dunque la convezione, si trova ad ovest dell’Australia mentre della nuova instabilità nasce tra Africa e oceano Indiano. La Madden si è portata dalle fasi 5/6 alla 8/1 in questo arco di tempo, secondo la classificazione sopra vista.

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Didascalia: vento a 200 hpa. In blu la zona di velocità antizonale, ossia da est ad ovest, in rosso la velocità zonale, ossia da ovest verso est. Da notare che il confine tra la zona blu e rossa nelle due carte sopra si trova poco ad est del centro della figura, sull’ovest Pacifico. La Madden si aggira nelle fasi 7/8 in queste reanalisi, secondo la classificazione in fasi vista sopra.

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Didascalia: vento a 200 hpa. In blu la zona di velocità antizonale, ossia da est ad ovest, in rosso la velocità zonale, ossia da ovest verso est. Da notare che il confine tra la zona blu e rossa nelle due carte sopra si trova poco ad est del centro della figura, sull’ovest Pacifico. La Madden si aggira nelle fasi 7/8 in queste reanalisi, secondo la classificazione in fasi vista sopra.

Chiudiamo questo articolo infine andando a vedere quale è il suo impatto sulla circolazione delle medie latitudini: infatti è interessante notare che le due onde di gravità che accompagnano la convezione, la Rossby-gravity e la Kelvin, sono costituite di due lobi di geopotenziale simmetrici rispetto all’Equatore. I lobi della Rossby sono due circolazioni depressionarie una a nord e una a sud dell’Equatore. I lobi della Kelvin sono invece due circolazioni anticicloniche. Queste circolazioni sono centrate all’incirca ai tropici, e vanno dunque a modificare la cella di Hadley. Come si vede dalla figura sottostante, in verde è evidenziata una circolazione ciclonica e in rosso anticiclonica. Generalmente sono le fasi 7, e soprattutto 8 e 1 quelle in cui avviene il passaggio del lobo boreale della Rossby tra Mediterraneo e nord Africa (i lobi della Rossby sono associati a depressioni). La MJO in fase 8 e 1 si associa dunque ad ondate di maltempo sul sud dell’Europa e nord Africa (seguendo le linee verdi, sul nord Africa vediamo che con la Madden in queste fasi si hanno venti occidentali, quindi circolazioni depressionarie sul Mediterraneo sono compatibili con tale ventilazione).

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Didascalia: struttura dell’anomalia circolatoria associata alla MJO ottenuta mediando i pattern registrati in vari episodi tra Novembre ed Aprile e tra il semestre freddo 1996/1997 e il 2013/2014 e togliendo i contributi dovuti ad altre forzanti equatoriali come ENSO. I colori mostrano le precipitazioni, le linee i geopotenziali ad 850 hpa basati sulle reanalisi ERA-Interim(Dee et al. , 2011). In verde i geopotenziali con associata circolazione anticiclonica e in magenta quella ciclonica. Da notare che il passaggio delle isolinee di geopotenziale magenta sul nord Africa avviene con le fasi 7-8-1 e in maniera residua o marginale (ad est) con la 2. In tal contesto si hanno venti occidentali sul nord africa e dunque depressioni mediterranee sono compatibili. Fonte dell’immagine: Andrew W. Robertson, Frédéric Vitart – subseasonal to seasonal prediction.Molto utile e facile da leggere è il diagramma polare della MJO, ottenuto combinando due indici di previsione della Madden, l’RMM1 e l’RMM2 che indicano l’intensità e la posizione della MJO. Sotto riportiamo un esempio di reanalisi delle fasi passate e della previsione futuraImmagine

Didascalia: diagramma polare della Madden Julian oscillation. Ogni punto indica l’intensità e la posizione dell’onda convettiva tropicale.

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Didascalia: previsione della Madden Julian oscillation.

La previsione è una previsione di ensemble come si può vedere, in quanto la simulazione numerica dell’evoluzione dell’onda convettiva è naturalmente instabile e il fenomeno è caotico nella sua evoluzione come lo è la dinamica delle latitudini extratropicali, e viene dunque rivista ad ogni corsa modellistica. Ciononostante ha un evoluzione lenta, il che vuol dire che se per la meteorologia extratropicale l’affidabilità sulla previsione a larga scala solitamente non riesce ad essere buona oltre i 5-7 giorni, per la Madden questa predicibilità aumenta. è un elemento utile dunque nel fare tendenze meteo lungo termine, laddove le previsioni modellistiche non arrivano, anche se come abbiamo appena detto anche la Madden viene aggiornata ad ogni corsa modellistica, analogamente alle previsioni numeriche per le latitudini extratropicali.
Nel diagramma polare è presente un cerchio interno di raggio 1. Quel cerchio sta ad indicare che nelle reanalisi che sono state fatte (figura di Frédéric e Vitart), non si è tenuto conto di episodi che avevano un’intensità troppo bassa per poter lasciare effettivamente una traccia sulla circolazione generale dell’atmosfera. Il che vuol dire che quando la Madden entra nel cerchio, la sua influenza sul clima extratropicale diventa trascurabile.

Esiste una correlazione statistica, sempre frutto di reanalisi e composizione di più eventi di Madden, che associa le sue fasi non solo ai geopotenziali delle zone equatoriali, tropicali e basse latitudini extratropicali, ma anche alle anomalie di geopotenziale su tutto il globo. Le anomalie associate alle varie fasi della Madden, unitamente agli effetti concomitanti della fase dell’ENSO (El nino, neutro, La nina) e nei vari periodi dell’anno, sono riportate in questa tabella sul sito dell’associazione Meteonetwork:
https://www.meteonetwork.it/models/mjo/

A questo punto non vi resta altro da fare che spulciare tutte queste mappe e monitorare la MJO alla ricerca del tempo atmosferico più probabile, assieme a tutte le altre nozioni fin ora aggiunte in questa rubrica.

Si ringraziano Matteo Sacchetti di Meteonetwork e Antonio Federici per il confronto sul tema che ha portato allo sviluppo di questo articolo.
Le mappe di OLR, vento a 850 e 200 hpa e i diagrammi polari sono reperibili al sito del Climate Prediction Center al seguente link
https://www.cpc.ncep.noaa.gov/products/precip/CWlink/MJO/mjo.shtml