23) Meteorologia dinamica: Stratosfera e cenni sulla QBO

In quest’ultimo articolo teorico relativamente alla meteorologia dinamica vedremo alcune nozioni relativamente alla Stratosfera.

Abbiamo menzionato nell’articolo precedente i TST event e come questi siano conseguenza dell’interazione con la Troposfera, interazione precedentemente analizzata.

Quello che stiamo per scoprire è che non solo i TST event sono importanti nella circolazione stratosferica, ma ne siano anche totalmente determinanti! Ossia l’unica cosa che regola la circolazione stratosferica sono le onde di Rossby provenienti dalla Troposfera e che qui depositano momento alla rottura.

Il motivo di una totale mancanza di dinamica atmosferica propria della Stratosfera, sta nel fatto principale che si tratta di uno strato decisamente stabile. Infatti la temperatura della colonna d’aria tende ad aumentare al di sopra della Tropopausa. Questo avverrebbe naturalmente se non ci fosse lo strato di Ozono, ma la presenza dell’Ozonosfera rende la Stratosfera uno strato fortemente stabile. Di conseguenza le forme di instabilità possibili , quali l’instabilità baroclina, vengono meno o sono molto deboli. Abbiamo infatti visto che in un’onda baroclina intervengono le velocità verticali a dissiparne l’energia. Ma se lo strato è stabile, non sarà possibile avere velocità verticali e dunque la dinamica sarà coerente con la quota: se si vede una mappa sinottica della Stratosfera ad una certa quota, questa sarà la stessa anche alle altre quote. La dinamica stratosferica è dunque bidimensionale.

D’altro canto la Stratosfera non è a contatto con il suolo come la Troposfera, non ci sono dunque elementi che possano forzarne la circolazione al bordo inferiore.

Aggiungiamo inoltre che anche l’impatto delle onde di Rossby troposferiche non può produrre circolazioni stratosferiche molto varie, infatti sempre a causa della forte stabilità della colonna d’aria si può facilmente stimare un valore del raggio di deformazione delle onde di Rossby stratosferiche di 4000 km, ossia stiamo dicendo che per via della forte stabilità della colonna d’aria tipicamente un’onda di Rossby stratosferica non scende sotto i 4000 km di ampiezza e lunghezza. Le onde troposferiche hanno dimensioni di 1000 km tipicamente. Le onde stratosferiche dunque sono in numero decisamente basso e non vi è la possibilità di andare a creare una grande varietà di configurazioni sinottiche come avviene in Troposfera. La grande scala a cui vive la dinamica stratosferica è confermata anche da quanto visto nel precedente articolo dalla condizione di Charney-Drazin, che ci dice che le onde corte troposferiche non riescono a raggiungere la Stratosfera. Ne consegue che tipicamente in Stratosfera si osserva un pattern a solamente due onde. Una conseguenza ulteriore della larga scala alla quale vivono le Rossby stratosferiche è la loro lentezza nell’evoluzione, decisamente più lente di quelle troposferiche. Per tale motivo gli eventi stratosferici rappresentano solitamente un fattore di cui tener conto nelle tendenze a medio e lungo termine.

Il ruolo della rottura delle onde in risalita dalla Troposfera in Stratosfera è quello di depositare momento in essa e dunque determinarne la circolazione, attraverso la genesi di due fenomeni: i TST event e la circolazione di Brewer-Dobson.

Per contestualizzare i fenomeni citati, guardiamo prima ad altre generalità relativamente allo stato tipico della Stratosfera.

Abbiamo detto che le caratteristiche principali della Stratosfera sono dettate dalla sua forte stabilità, dovuta a motivi radiativi. Poiché gli effetti radiativi sulla temperatura dell’aria sono molto più lenti di quelli avvettivi, vedremo la Stratosfera evolvere principalmente tramite spostamenti delle masse d’aria. Ma anche gli effetti diffusivi in Stratosfera sono del tutto trascurabili, in quanto lo strato è ben poco denso, non ha più senso parlare di diffusione. Vuol dire che non c’è modo di andare a smorzare i contrasti tra diverse masse d’aria. Poiché in inverno la Stratosfera polare non riceve radiazione e il processo radiativo è ciò che principalmente determina la temperatura di tale strato, è lecito aspettarsi che in tale stagione si venga a creare un forte gradiente termico tra alte e basse latitudini. E come abbiamo detto poco fa gli scambi di calore tra due diverse zone sono solo avvettivi, cioè si devono muovere le masse d’aria stesse, ma non c’è modo di smorzare i gradienti termici latitudinali. Di conseguenza quello che si osserva è una struttura presente durante la stagione invernale, prevalentemente ovale, che contiene tutta la massa d’aria gelida e che staziona in modo permanente sul polo per tutta la stagione: è il vortice polare. All’interno di esso l’aria è gelida, la vorticità potenziale è pressochè costante, ed è separato da una zona esterna anch’essa con vorticità potenziale e temperatura pressochè uniforme. Le due diverse masse d’aria sono separate da una zona di fortissimi contrasti in termini di vorticità potenziale, con un salto di 2 PVU, e temperatura di molte decine di gradi. La mancanza di un meccanismo che vada a smorzare i forti gradienti fa si che questi si concentrino in una fascia latitudinale molto ristretta, definendo appunto una struttura che è quella del vortice polare, ermeticamente separata dal resto della Stratosfera. Il vortice polare ha una forma ovale o circolare, quindi molto regolare, per la presenza di una o due onde di Rossby a causa della larghissima scala su cui vive la dinamica stratosferica, come detto precedentemente.

Quando le onde di Rossby troposferiche si rompono in Stratosfera, quello che si osserva è che il vortice polare stratosferico può venire a rompersi in più parti, in vortici più piccoli sempre molto regolari e separati da un netto contrasto di vorticità potenziale e temperatura col resto della Stratosfera. In questo caso si ha un cosiddetto evento di “split” del vortice polare, oppure può accadere che questo venga solamente spostato dalla sua sede naturale, il polo, pur conservando dunque le sue proprietà di totale compattezza e isolamento dal resto della Stratosfera. In questo caso si parla di evento di “displacement”, dall’inglese “dislocamento”. Oltre al TST event, che può manifestarsi nell’uno o nell’altro modo, una parte del momento depositato in Stratosfera alla rottura dell’onda va ad alimentare una circolazione meridionale nota come circolazione di Brewer-Dobson. I due fenomeni avvengono contemporaneamente ed il perché è chiaro se si cercano le equazioni del moto per la Stratosfera, che riportiamo qua direttamente senza ricavarle. In particolare ci interessa l’equazione per il vento zonale medio che è la seguente:

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Possiamo notare che se si attiva in Stratosfera il termine di divergenza di F, a causa di un’onda troposferica arrivata in Stratosfera, l’energia associata all’onda troposferica viene ripartita tra due termini: uno di variazione temporale di velocità del vento medio zonale, l’altro di attivazione di un vento meridionale v. Immaginiamo per un momento che il primo termine dell’equazione, quello della derivata temporale del vento medio zonale, non ci sia. Se l’EP-flux è convergente (divergenza negativa) la velocità meridionale dovrà essere positiva per mantenere l’identità di segno tra i due termini dell’equazione, ossia sarà diretta verso il polo. Se l’EP-flux è divergente (divergenza positiva) la velocità meridionale sarà negativa, ossia diretta verso l’Equatore. In sostanza osserviamo che in annate in cui vi è una deposizione di momento antizonale in Stratosfera, quindi in cui il vortice polare stratosferico viene attaccato dalla Troposfera ed indebolito ad opera di flussi convergenti, la circolazione di Brewer-Dobson, tipicamente diretta dall’Equatore al polo, si intensifica. Naturalmente è anche vero il viceversa, ossia se si intensifica la circolazione di Brewer-Dobson, abbiamo degli EP-flux convergenti in Stratosfera, andiamo a mettere le onde troposferiche propagantisi verso l’alto in condizione di rompersi ed indebolire il vortice polare stratosferico.

La circolazione di Brewer-Dobson si chiude poi con la discesa in Troposfera di queste masse d’aria per subsidenza e il loro ritorno all’Equatore nei bassi strati. Qua a causa della forte instabilità della colonna d’aria, si hanno moti verticali che chiudono la circolazione. In quest’ultima fase della circolazione però le masse d’aria si arricchiscono di ossigeno che viene portato in Stratosfera e poi da li verso il polo. Per questo tale circolazione è fondamentale anche la questione relativamente al buco nell’ozono, in quanto se le onde troposferiche non riescono a rompersi in Stratosfera, la circolazione di Brewer-Dobson si indebolisce e viene a mancare il trasporto di ozono verso il polo, generando il famigerato buco dell’ozono al di sopra delle zone polari. D’altro canto se si osserva un aumento di ozono in Stratosfera polare al di sopra della norma, è segno che la circolazione si sta intensificando e dunque le onde di Rossby troposferiche che si portano in Stratosfera saranno in grado di depositare momento e indebolire il vortice polare stratosferico, contribuendo ad un rallentamento del vento medio zonale. Per tale motivo spesso in inverno si guardano anche le mappe di ossigeno sul polo per capire se ci sono manovre invernali in vista anche per le basse latitudini, in genere associate al rallentamento del vento medio zonale.

Cerchiamo di capire in che modo la circolazione di Brewer-Dobson, nota anche come circolazione residua, si combina con la deposizione di momento da parte della rottura delle onde troposferiche per andare a rallentare il vento medio zonale stratosferico:

quando un’onda di Rossby sale dalla Troposfera e si rompe ad una certa quota stratosferica, quello che osserveremmo guardando in un grafico in funzione della quota è una rapida decrescita fino a zero dell’attività d’onda alla quota della rottura, l’accensione della divergenza degli EP-flux con valori negativi e strettamente attorno alla quota di rottura dove viene raggiunto il picco e una più ampia zona sulla verticale di calo del vento medio zonale con calo più intenso alla quota di rottura. In genere abbiamo che il calo del vento medio zonale avviene in una zona ben più estesa di quella con la convergenza degli EP-flux. Abbiamo infatti visto che laddove la divergenza degli EP-flux è negativa c’è un calo del vento medio zonale, ma la relazione che lega la derivata temporale del vento medio zonale e la divergenza degli Ep-flux vale ancora se si applicano derivate del secondo ordine a tale equazione

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L’operatore al termine di sinistra è un operatore ellittico, e questa equazione ci sta dicendo dunque che se il termine di destra, ossia la divergenza dell’EP-flux, avviene su una certa zona, la variazione di vento medio zonale avverrà su una zona più vasta. Possiamo vedere questo fatto sia con un grafico funzione della quota, in cui la variazione di vento medio zonale copre un più ampio range di quote attorno alla quota di rottura dell’onda rispetto alla zona di divergenza degli EP-flux, sia in sezione latitudinale. Il tutto è rappresentato nella figura sottostante nella figura a sottostante

da Vallis  p. 665 fig 17.24

La figura di destra invece ci aiuta a capire anche il seguente fenomeno: laddove l’onda si rompe (la zona in grigio scuro), il vento medio zonale rallenta maggiormente. Se la deposizione di momento antizonale è intensa, il vento medio zonale li può arrivare persino ad annullarsi o invertirsi (farsi da est verso ovest). Questo va a “sconvolgere” la circolazione su tutta la colonna stratosferica. Infatti alle quote superiori , laddove il breaking dell’onda non ha prodotto effetti, il vento zonale continua ad essere quello di prima, tipicamente intenso e diretto da ovest verso est. Alla quota in cui l’onda si rompe il vento zonale medio anche li era in precedenza positivo, se ora qui lo andiamo a rallentare e persino annullare, si creerà una decisamente più forte condizione di shear con le quote stratosferiche superiori. Per esempio potrebbe accadere che la zona grigio scuro della figura sia la quota di 10 hpa, e il limite superiore della figura la quota di 1 hpa. Prima della rottura della Rossby troposferica due valori di vento zonale tipico possono essere 50 metri al secondo alla quota di 1 hpa e 30 metri al secondo alla quota di 10 hpa. Un aumento verticale di 20 metri al secondo in 10 hpa di spessore. Se a 10 hpa portiamo il vento medio zonale a 0 metri al secondo, ora ci sarà un aumento di 50 metri al secondo nello stesso spessore di atmosfera! Quindi sopra la zona di rottura dell’onda lo shear verticale del vento cresce nel tempo e dunque la derivata temporale della derivata di u in z è una quantità positiva. Ma dalle equazioni di vento termico viste nell’articolo 4, sappiamo che la variazione del vento con la quota è legata al gradiente latitudinale di temperatura, in particolare lo shear verticale del vento zonale è uguale alla derivata della temperatura con la latitudine con un segno negativo davanti (se il vento zonale aumenta con la quota la temperatura diminuisce salendo di latitudine). Quindi la derivata temporale della variazione latitudinale di temperatura sarà negativa. La consequenzialità qui scritta è riportata sotto:

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E siccome possiamo scambiare l’ordine delle derivate, come fatto nell’ultimo passaggio sopra, questo equivale anche a dire che la derivata della temperatura nel tempo deve essere negativa, ossia la temperatura diminuisce al di sopra della zona di rottura dell’onda. Se l’onda si rompe a 10 hpa, ad 1 hpa vediamo un ulteriore raffreddamento stratosferico, un aumento dello shear verticale, del gradiente termico polo-equatore e una ulteriore intensificazione del vento zonale medio. Il vortice polare stratosferico si rafforza e prende vigore alle quote superiori, perché schiacciato in uno spessore di atmosfera più fino

Al contrario alle quote inferiori alla quota di rottura, abbiamo una situazione in cui il vento zonale si è portato a 0 nella zona grigio scuro, e al bordo inferiore è sempre nullo per attrito della troposfera col suolo. Di conseguenza sotto la quota di rottura l’aumento del vento zonale medio salendo di quota si smorza, e seguendo i ragionamenti sopra si scopre che si ha invece un riscaldamento. Questo è il motivo per cui negli eventi di rottura delle onde troposferiche si parla di Stratwarming.

In conclusione, una volta che l’onda si è rotta e si è generato lo Stratwarming con la formazione di un anticiclone stratosferico (deposizione di momento antizonale), la circolazione di Brewer-Dobson descritta sopra ci diceva che convergenza degli EP-flux sta a significare una intensificazione della circolazione meridionale, dal polo all’equatore. Ma sapendo anche che la divergenza dell’EP-flux è uguale al trasporto di vorticità potenziale, come visto nell’articolo sull’EP-flux, abbiamo che se si attiva la circolazione di Brewer-Dobson questa trasporta vorticità potenziale negativa verso nord, secondo la seguente relazione

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Il che vuol dire che l’anticiclone stratosferico formatosi alla deposizione di momento antizonale si mette a viaggiare verso il polo. Questo movimento deve però fare i conti con le generalità inizialmente elencate della Stratosfera, ossia il fatto di mostrare un vortice polare compatto e ben definito nella sua sede naturale che non è facile da rompere o spodestare, ma anche particolarmente elastico che quando sente la pressione degli anticicloni che cercano di spodestarlo si oppone deformandosi ma difficilmente arriva a rompersi in un evento di split. Per tale motivo è necessario che questi eventi di rottura delle onde troposferiche siano intensi, e quando avvengono prendono il nome di “Sudden StratWarming (SSW)”. Se il fenomeno non è intenso, il vortice può venir disturbato ma si prende poi facilmente i suoi spazi e il vento zonale medio non viene rallentato.

Passiamo dunque alla spiegazione finale del TST event, in particolare della sua fase ST, quella di discesa del segnale stratosferico in Troposfera.

Se ad una determinata quota la deposizione di momento antizonale porta il vento ad indebolirsi o persino annullarsi, stiamo costruendo per le eventuali successive onde che salgono verso la Stratosfera un’altitudine critica secondo la condizione di Charney-Drazin vista nell’articolo precedente. Le onde successive dunque che arriveranno a questa quota si romperanno depositando altro momento antizonale rafforzando l’anticiclone polare stratosferico. Il vento zonale medio a tale quota arriva ad invertirsi, la quota di vento nullo scende più in basso e diminuisce l’intensità del vento zonale medio su tutta la colonna fino al suolo. Dalla condizione di Charney-Drazin sappiamo che se il vento zonale medio diminuisce anche le onde con un K maggiore (numero d’onda maggiore, onde più corte) riescono a propagarsi sempre più in alto, a raggiungere tale soglia di vento nullo, a rompersi e a depositare momento antizonale favorendo una ulteriore discesa di quota della soglia di vento zonale medio nullo. In questo modo il meccanismo accelera, perché sempre un più ampio spettro di onde di Rossby, anche ad alta frequenza, riuscirà a depositare momento , fino a che la quota di vento zonale medio nullo si porta in Troposfera  e, infine, si inverte.

Avere un vento zonale medio invertito in Troposfera vuol dire anticicloni che migrano verso il polo e ondate di gelo verso le basse latitudini. È questo il momento in cui avviene la definitiva propagazione del segnale stratosferico a quello troposferico e il TST event è completo. Un eclatante esempio di realizzazione dell’intero TST event fu la fine di Febbraio 2018, in cui tra il 24 e il 26 del mese una grossa area di alta pressione dall’Atlantico migrò verso l’Artico, portando sull’Europa una enorme massa di aria gelida dalla Siberia. Il tutto fece seguito ad una fase di propagazione verticale di onde di Rossby che depositarono momento in stratosfera dopo il 15 del mese, generando un evento di split, con la formazione di un anticiclone polare stratosferico e l’inversione del vento zonale in bassa Stratosfera.

Una volta raggiunta la fase ST dell’evento, alla quota alla quale era avvenuta la prima rottura d’onda con inversione del vento medio zonale viene radiativamente ripristinato lo stato di equilibrio della Stratosfera che dunque torna a raffreddarsi e il vortice polare stratosferico a riformarsi. Viene dunque ripristinato il vento medio occidentale  e gradualmente la zonalità viene ripristinata anche ai piani inferiori, fino in Troposfera. Il recupero della Stratosfera avviene in molti giorni, dal momento che come abbiamo detto precedentemente gli effetti radiativi sono lenti.

Se il fenomeno avviene in primavera, si può parlare di Final Warming (FW): infatti abbiamo sempre detto fin ora che lo Stratwarming può avvenire in conseguenza della deposizione di momento da parte delle onde troposferiche, ma in realtà abbiamo anche detto nell’articolo precedente che in Estate la Stratosfera polare si scalda per il ritorno della radiazione che viene assorbita fortemente nell’UV dall’Ozonosfera. Nel mese di Marzo dunque vi è sempre uno Stratwarming, che porta alla dissoluzione del vortice polare stratosferico e all’inversione del vento zonale medio che si fa dunque da est verso ovest con la formazione di un anticiclone polare. Se in concomitanza di tale evento radiativo la circolazione troposferica si mostra particolarmente disturbata, con molte onde in propagazione verso la Stratosfera, allora il Final Warming può assumere carattere dinamico del tutto analogamente al tipico evento invernale, portando ondate di freddo alle basse latitudini frequenti da fine Marzo e poi nel mese di Aprile. Molti sono gli episodi di questo tipo negli ultimi anni, ma il più peculiare è quello di fine Aprile 2019, il Final Warming arrivò con 1 mese di ritardo sul calendario in quanto a fine inverno il vortice Stratosferico era eccessivamente freddo compatto e stabile, molto di più della norma e i lenti processi radiativi hanno impiegato molto per dissolverlo. In concomitanza, delle onde planetarie dalla Troposfera a fine Aprile hanno aiutato a smantellarlo e il Final Warming ha assunto carattere dinamico portando ad ondate di freddo per il periodo del tutto anomale per tutto il mese di Maggio alle basse latitudini europee, facendo si che il mese andasse a chiudere in anomalia termica fortemente negativa sull’Italia.

Fin qua abbiamo sempre e solo parlato di dinamica della Stratosfera polare, ma in realtà dei fenomeni del tutto analoghi avvengono nella Stratosfera Equatoriale. Anche in questo caso la propagazione verticale delle onde Troposferiche può generare delle analoghe anomalie di vento zonale stratosferico, che periodicamente passa dal farsi positivo su tutta la colonna al farsi negativo. C’è però anche una sostanziale differenza col TST event polare: all’Equatore, come abbiamo già visto nell’articolo sulla Madden, le equazioni della dinamica atmosferica hanno come soluzione delle onde di diversi tipi, in particolare anche in atmosfera, oltre alle Rossby-Gravity, ritroviamo le onde di Kelvin. Le onde di Rossby per loro natura depositano momento antizonale, le onde di Kelvin momento zonale. Quindi quando vediamo la Stratosfera equatoriale passare da vento zonale medio negativo a positivo, non è perché come nel caso polare interviene l’equilibrio radiativo a riportare la Stratosfera a raffreddarsi (anche perché qui il sole è presente tutti i giorni dell’anno! ), piuttosto perché dopo un periodi di deposizione di momento da parte delle Rossby, prende il sopravvento la deposizione da parte delle Kelvin. Questa alternanza è periodica e si passa da una fase di vento fortemente zonale alla successiva con un lasso temporale di quasi due anni. Per questo motivo l’oscillazione prende il nome di QBO, ossia Quasi-Biennal Oscillation. Molti studi mostrano anche un suo ruolo sulla probabilità di avere eventi di Stratwarming in zona polare.

Termina qua dunque la rubrica di Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia, sperando che possa essere stata coinvolgente per gli appassionati di dinamiche invernali e per chi cerca di capire quando le grandi manovre atmosferiche ci consentiranno di rivedere la neve. Nelle due prossime uscite verranno prese molte carte sul web attraverso le quali andremo a leggere queste nozioni per capire come applicarle a proiezioni a lungo termine sulla circolazione atmosferica.